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La mia classe - Recensione (2)

22/01/2014 | Recensioni |
La mia classe - Recensione (2)

Valerio Mastandrea è maestro de La mia classe, sedici extracomunitari che imparano l’italiano per ottenere il permesso di soggiorno ed integrarsi nel nostro Paese. Ogni protagonista con il proprio difficile passato, il problematico presente e la propria visione del mondo.
 
Il nuovo film di Daniele Gaglianone, presentato alla Biennale di Venezia 2013 nella sezione “Le Giornate degli Autori”, parla d’immigrazione, ma soprattutto d’integrazione, calandosi nelle reali esperienze di autentici studenti extracomunitari, scelti da veri corsi d’italiano. Autentici sono i loro sentimenti e le emozioni che emergono durante le lezioni del maestro, unica figura elaborata a fini drammaturgici le cui lezioni riescono, tuttavia, ad essere “vere” grazie agli studenti, interpreti di se stessi, e alla spontaneità tragica, comica e ironica di Valerio Mastandrea, che entra ed esce continuamente da un personaggio, che non sente come tale.

Un maestro, le lezioni d’italiano e una vera classe: questa l’idea iniziale del progetto, il livello di finzione che il regista e gli sceneggiatori costruiscono su un problema attuale e sociale. La situazione sfugge di mano quando durante le riprese intercorrono degli imprevisti. Le condizioni di alcuni studenti, raccontate sul grande schermo in via del tutto ipotetica, diventano reali. Tra dubbi, titubanze e grandi responsabilità, il regista decide di andare avanti e di mescolare al film vero e proprio la realtà delle riprese, impostando la pellicola su due livelli: la finzione, rappresentata di fronte alla macchina da presa, e il retroscena delle riprese con la troupe, gli attori e lo stesso regista che si interrogano sul loro lavoro (se valga la pena continuare a raccontare questa storia, se ciò che fanno sia utile). I due livelli, solitamente separati, diventano inscindibili a tal punto che lo spettatore non sa più che tipo di pellicola stia guardando: un documentario, un film di finzione o un backstage. 

La mia classe è un’opera d’autore, di taglio documentaristico, singolare nella sua realizzazione. A questa caratteristica si aggiunge una distribuzione del tutto autonoma, un’“autodistribuzione” svincolata dalle condizioni imposte da qualsiasi esercente o da politiche strategiche d’uscita (come la scelta del miglior weekend o di un preciso numero di copie). Nelle sale milanesi fin dalla scorsa settimana, apprezzato a Londra, in Francia, a Madrid e a Istanbul, il film arriva a Roma a partire dal 23 gennaio, per poi continuare a farsi conoscere in tutta Italia.

Grande merito va ad un tipo di cinema che fa discutere, suscita dibattiti, ma che soprattutto agisce. Di fronte alle difficoltà Gaglianone non si ferma. Tramite il cinema veri studenti extracomunitari trovano lavoro, improvvisandosi come attori: vanno a Venezia, raccontano la loro storia, affrontano la stampa e il pubblico, e si supportano a vicenda, con umanità, rispetto ed estrema umiltà. La mia classe diventa, così, la testimonianza che si può fare qualcosa nei fatti e che se ognuno, con i propri mezzi e nelle proprie possibilità, agisce, ciò che non funziona, si può non solo denunciare, ma anche cambiare e migliorare.

E allora, agli interrogativi del regista e degli attori sull’utilità del loro lavoro e all’affermazione, nel film, di Valerio Mastandrea: “Non serve a niente”, non si può fare altro che controbattere: “E invece serve”.

Elisa Cuozzo
     


 

 


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